Appartenere ad una lingua e ad appartenere ad una cultura—una riflessione.

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura… Queste sono le parole che ci vengono insegnate nelle prime lezioni di letteratura quando varchiamo le soglie del liceo, e subito impariamo: queste sono le fondamenta della nostra lingua, la lingua italiana. Dante, insieme a Petrarca e Boccaccio, è considerato il padre dell’italiano. Ha dato una forma e una letteratura alla lingua volgare, ha dato quindi forma alla nostra cultura. Perché questo è ciò che una lingua è: un vascello per la cultura, per l’identità, per la storia. Ma possiamo chiamarla nostra questa cultura, questa identità, se quella creata è la cultura italiana? In quanto svizzeri, quanto ci appartengono i grandi poeti della letteratura italofona, Dante Alighieri, Giacomo Leopardi, Italo Calvino?

Ricordo le gite scolastiche di quando eravamo bambini—ci portavano nei sentieri di montagna, tra i boschi di questa terra che ci ha nutrito e cresciuto—noi bambini, così pieni di vita, a rincorrersi ridendo, a cantare insieme. Ricordo i nostri canti, un coro di voci, una melodia famigliare. Cantavamo Bella Ciao. Allora non capivamo ancora veramente il senso delle parole, ma ci entravano comunque nella pelle, e ancora adesso sento che la canzone mi appartiene. La canzone, ma non la sua storia. Le parole, ma non il loro passato. La storia partigiana è così intrinseca alla storia dello Stato italiano e non al nostro. Ha quindi il confine politico più valore di quello linguistico?

Siamo legati a questa grande nazione meridionale perché abbiamo la stessa lingua, e la lingua ci rende chi siamo. Ma non siamo italiani, siamo italofoni. Lo dobbiamo enfatizzare per non dimenticare che esistiamo. Quale cultura, quindi, per noi svizzero-italiani?

Qualche dato storico

La Svizzera Italiana è la regione italofona della Svizzera che comprende il Canton Ticino e le quattro valli del Grigioni Italiano. Secondo il censo del 2018 conta poco più di 360’000 abitanti. L’italiano è lingua nazionale in Svizzera, e lingua ufficiale in questi due cantoni. Costituisce l’8% delle lingue parlate in Svizzera, drasticamente meno dal 22% francese o il 63% tedesco. Ciononostante rimane una lingua importante, paritaria alle altre due secondo la Costituzione federale del 1848.

Nelle scuole italofone non è solo la letteratura italiana che viene insegnata da giovane età, ma anche la storia. Una volta studiati gli anni più importanti della Confederazione Svizzera, ci si volta presto verso la storia dell’Italia, e non solo per la sua vicinanza geografica: prima che esistessero le attuali divisioni politiche, la storia della penisola italiana era inintelligibile da quella che ora chiamiamo Svizzera Italiana. I territori del Ticino e del Grigioni Italiano furono separati dalle signorie locali del Nord Italia solamente nel sedicesimo secolo, e le nazioni stesse, Italia e Svizzera, si sono costituzionalizzate due secoli più tardi.

Dante, quindi, ci appartiene di fatto. Vissuto in un momento dove non c’era ancora il concetto contemporaneo di nazione, sebbene in un luogo nell’attuale Stato italiano, è per la lingua che è diventato importante per l’Italia, non per una nazionalità in senso moderno. Allo stesso modo ci appartengono tutti gli antenati della penisola italiana, i Romani con Virgilio, il latino che ha fornito una base sulla quale la nostra lingua si è formata.

Ma cosa farne degli autori contemporanei? Pier Paolo Pasolini, nato nel 1922, è interamente influenzato dallo Stato italiano in cui è cresciuto. Le sue opere sono così intrinsecamente connesse alla politica attorno a lui che è impossibile separare una dall’altra, ed è una politica notevolmente differente da quella svizzera. La sua lingua, dunque, non basta. Pasolini è uno scrittore italiano, e sebbene i suoi scritti sono in una lingua molto più simile alla nostra rispetto a quelli di Dante, è molto più difficile per noi considerarlo parte della nostra cultura.

Una cultura svizzera

Qual è quindi la nostra cultura? Dobbiamo tornare indietro secoli per trovarla o abbiamo opere più vicine a noi? C’è, ovviamente, una cultura propriamente svizzero-italiana. È una cultura piccola, che nasce dalle nostre valli: poeti e scultori, scrittori e artisti cresciuti attorno a noi che rivelano la loro voce. La nostra stessa lingua può anche essere caratterizzata come propriamente nostra. Influenzata da parole francesi e tedesche, presenta piccole differenze dall’italiano standard d’Italia, rendendola unica. Ma questa nostra cultura è in uno stato di continuo pericolo. In Svizzera sembra infatti di essere in una lotta senza tregua per venir rappresentati come terza lingua, per avere testi ufficiali tradotti in italiano, preferibilmente senza errori, e per essere inclusi nelle discussioni. Associazioni come la PGI, la Pro Grigioni Italiano, fanno quindi un grande sforzo per enfatizzare le nostre voci e i nostri diritti.

Un’altra cultura a cui possiamo fare appello è quella svizzera, le tradizioni legate all’intera nazione piuttosto che alle singole lingue. Sono le tradizioni che abbiamo in comune con tutti gli altri cittadini svizzeri: i miti di fondazione quale il giuramento del o Guglielmo Tell, e le tradizioni legate alla nostra geografia, alle montagne. Anche l’inno svizzero è un mito creato per unificare, che nelle diverse versioni mostra la pluralità linguistica, ma mantiene la melodia che, al di là delle nostre differenze linguistiche, ci accomuna.

Nel porgermi queste domande, mi ritrovo a chiedermi se affliggono altre persone tanto quanto me. E mi chiedo: hanno questi stessi dubbi gli svizzeri tedeschi e svizzeri francesi? Riflettono anche loro su quanto gli appartengono le figure di Goethe o di Camus? Forse sì, e allo stesso tempo probabilmente molto meno, per un motivo ben specifico: avendo una popolazione più numerosa, hanno immediatamente più cultura che può essere considerata propriamente nativa. La cultura cinematografica e letteraria svizzera più prominente è effettivamente francofona o germanofona, basta solo pensare ad artisti come Friedrich Dürrenmatt o Jean-Luc Godard. Nel caso germanofono la lingua stessa ha anche un grande impatto nel distinguersi dalla Germania, poiché il dialetto svizzero tedesco è ampiamente diffuso, viene in tali casi considerato come una lingua a sé, e viene usato in tutti i campi artistici come la musica, la letteratura, o la cinematografia.

Riflessioni conclusive

Ci si può chiedere ad un certo punto se tali riflessioni sono necessarie oppure no. Forse per alcune persone basta sapere di avere la cultura svizzera e la lingua italiana, e di essere nato dalla loro fusione. Forse se si inizia ad analizzare ogni singolo elemento di cultura e a determinare a chi appartiene—e di conseguenza a chi non appartiene—si finisce senza avere più niente nelle mani, un’opera d’arte solo tua se è stata creata nel tuo luogo e periodo di nascita, con la tua storia, nella tua lingua. Un’opera d’arte solo tua se la crei tu stesso.

Forse è dunque giusto avere delle ambiguità, analizzare un’opera nel suo contesto, ma infine andare avanti tenendo qualunque cosa sentiamo che ci appartiene. Importano veramente i confini politici quando è la cultura che ci rende persone, ci rende umani? Una cultura che viene trasmessa attraverso la lingua, ma che ne va oltre, viene tradotta, viene trasportata e reinterpretata, viene vissuta in tutto il mondo. E quindi tutto ci appartiene, nulla ci appartiene.

La lingua è più forte della politica, ma la politica influenza la lingua: è un ciclo eterno. I confini spariranno e si modificheranno, ma le lingue rimarranno, crescendo, mutando. Prendiamo quindi quello che ci spetta dalla nostra lingua, i nostri antenati, la nostra letteratura; e prendiamo ciò che ci spetta dalla nostra nazione, canzoni o tradizioni anche se ci sono un po’ straniere. E in tutto ciò cerchiamo di creare qualcosa di nostro—un’arte e una cultura che nascono dalle nostre valli e tengono viva la Svizzera Italiana.

Testo e immagine Valentina Tobler